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Milano Noir - Vendetta Sull’orafo Di Via Mercantini

Vendetta Sull’orafo Di Via Mercantini

12/04/20 • -1 min

Milano Noir
A portare ancora i segni sul corpo le ferite collaterali dell’omicidio che avvenne nella gioielleria di via Mercantini è Alberto Torregiani, che rimase paralizzato sulla sedia a rotelle durante lo scontro a fuoco in cui morì il padre orafo e proprietario del negozio. Il delitto di Pierluigi Torregiani aveva però un antefatto decisivo, ossia un tentativo di rapina che l’uomo subì qualche giorno prima mentre era a cena con la figlia e alcuni amici vicino Porta Venezia. Qui venne aggredito e coinvolto in un tentativo di furto. Seguì poi una sparatoria in cui anche Pierluigi utilizzò la sua pistola regolarmente registrata, facendo fuoco. Rimasero uccisi un cliente della pizzeria e uno dei banditi. L’orafo venne subito acclamato dall’opinione pubblica come una sorta di giustiziere metropolitano. Fu sicuramente questo il motivo che suscitò nel commando dei PAC tanta sete di vendetta e che portò i suoi uomini ad affrontare Torreggiani pochi giorni dopo nel suo negozio. Entrati con aria minacciosa nello stabile di via Mercantini, incontrarono Pierluigi che tirò prontamente fuori la sua pistola. Torregiani sbagliò però il tiro e sparò sulla schiena del figlio. Seguirono i colpi dei banditi che investirono l’uomo, dandogli il colpo di grazia con un proiettile alla testa. I PAC poco più tardi rivendicarono l’agguato, tra i mandanti del delitto vi era anche Cesare Battisti: pluricondannato, più volte arrestato e sempre evaso dal carcere. Nonostante le numerose condanne all’ergastolo, da sempre riesce a sfuggire al suo meritato castigo.
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A portare ancora i segni sul corpo le ferite collaterali dell’omicidio che avvenne nella gioielleria di via Mercantini è Alberto Torregiani, che rimase paralizzato sulla sedia a rotelle durante lo scontro a fuoco in cui morì il padre orafo e proprietario del negozio. Il delitto di Pierluigi Torregiani aveva però un antefatto decisivo, ossia un tentativo di rapina che l’uomo subì qualche giorno prima mentre era a cena con la figlia e alcuni amici vicino Porta Venezia. Qui venne aggredito e coinvolto in un tentativo di furto. Seguì poi una sparatoria in cui anche Pierluigi utilizzò la sua pistola regolarmente registrata, facendo fuoco. Rimasero uccisi un cliente della pizzeria e uno dei banditi. L’orafo venne subito acclamato dall’opinione pubblica come una sorta di giustiziere metropolitano. Fu sicuramente questo il motivo che suscitò nel commando dei PAC tanta sete di vendetta e che portò i suoi uomini ad affrontare Torreggiani pochi giorni dopo nel suo negozio. Entrati con aria minacciosa nello stabile di via Mercantini, incontrarono Pierluigi che tirò prontamente fuori la sua pistola. Torregiani sbagliò però il tiro e sparò sulla schiena del figlio. Seguirono i colpi dei banditi che investirono l’uomo, dandogli il colpo di grazia con un proiettile alla testa. I PAC poco più tardi rivendicarono l’agguato, tra i mandanti del delitto vi era anche Cesare Battisti: pluricondannato, più volte arrestato e sempre evaso dal carcere. Nonostante le numerose condanne all’ergastolo, da sempre riesce a sfuggire al suo meritato castigo.

Episodio precedente

undefined - Delitto Alessandrini in Viale Umbria

Delitto Alessandrini in Viale Umbria

La mattina del 29 gennaio 1979 un commando di terroristi assassinò Emilio Alessandrini, sostituto procuratore della repubblica e giudice assai noto al grande pubblico per le sue inchieste sulla strage di Piazza Fontana e sul terrorismo rosso. Dopo aver accompagnato a scuola il figlio, Alessandrini si recava come sempre al tribunale. L’ora di punta lo lasciava in coda per parecchi minuti su quell’incrocio tra Viale Umbria e Via Tertulliano. Così quella mattina, ferma al semaforo rosso, la Renault 5 del magistrato fu circondata da quattro uomini che non tardarono a scaricargli addosso il piombo delle loro pistole. Otto colpi in tutto, otto boati sordi e violenti che si sentirono fino alla scuola del figlio. Gli attentatori sparirono salendo sulla macchina di un complice e lanciando un fumogeno arancione che gli permise di far perdere le loro tracce. Le indagini portarono però presto ai nomi degli esecutori materiali dell’omicidio. Alla memoria del giudice Alessandrini, simbolo della lotta alle organizzazioni armate, vennero invece dedicate piazze, aule, scuole, impianti sportivi e una Fondazione.

Episodio successivo

undefined - Morte Di Un Giornalista In Via Salaino: Delitto Walter Tobagi

Morte Di Un Giornalista In Via Salaino: Delitto Walter Tobagi

Erano le 11 di mattina del 28 maggio 1980 e Walter Tobagi, giornalista inviato sul fronte del terrorismo e cronista politico e sindacale del Corriere della Sera, si apprestava come sempre a uscire da casa per andare nel vicino garage in via Salaino a prendere l’auto. Quel giorno, ad attenderlo lungo il marciapiede, vi era un commando di terroristi che lo colpì con cinque colpi di pistola di cui l’ultimo, il colpo di grazia, sparato quando l’uomo era già a terra morente. Ci vollero pochi mesi per identificare i killer, appartenenti alla Brigata “28 marzo”: un gruppo terrorista di estrema sinistra costituitosi a seguito dell’uccisione di quattro brigatisti rossi a Genova il 28 marzo dello stesso anno. Il commando aveva individuato Tobagi quale possibile obiettivo già da tempo: il giornalista seguiva infatti da molto le vicende del terrorismo rosso per il Corriere della Sera e, in uno dei suoi ultimi articoli a riguardo, scriveva “Non sono samurai invincibili” sfidando così la neonata formazione estremista che non gli lasciò scampo. Uno dei killer di Tobagi, Marco Barbone, subito dopo l’arresto, decise di collaborare con la giustizia. Le sue dichiarazioni sono alla base di numerose incriminazioni che confluiscono, insieme all'omicidio del giornalista, nel cosiddetto processo "Rosso-Tobagi", uno dei primi maxi-processi per terrorismo, con oltre 150 imputati.

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